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LE RECENSIONI

PERCORSO "IL TEATRO E’ UN ROMANZO"



RAGAZZI DI VITA

di Pier Paolo Pasolini
drammaturgia di Emanuele Trevi
regia di Massimo Popolizio con Lino Guanciale, Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò, Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli, Michele Lisi, Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Verdiana Costanzo, Silvia Pernarella, Elena Polic Greco, Francesco Santagada, Stefano Scialanga, Josafat Vagni, Andrea Volpetti

Teatro Comunale Giuseppe Verdi Pordenone
15-16-17 marzo 2019



Un universo di storie che sommerge lo spettatore

In questo Ragazzi di vita ogni storia raccontata lascia il proprio segno.
Lo spettatore s’immerge in una Roma degli anni ’50 e rivive i tuffi nel Tevere, le risse, i lutti, tutte storie raccontate da spregiudicati e spensierati adolescenti provenienti dalle classi sociali più basse. Al centro della scena gli attori si muovono in una coreografia che si distende a partire dal proscenio, permettendo una partecipazione molto intima alle loro avventure e l’accesso a tutte le parti del palco. Dall’uso di tutta la profondità fino agli spazi sopraelevati, creando un’illusione di città vera, con le sue distanze e le sue altezze. L’uso alternato del parlare in prima e in terza persona poi crea nello spettatore un senso di straniamento, che non produce una distanza con il pubblico ma è come se le parole del testo si materializzassero sul palcoscenico.
Al fianco dei personaggi c’è una presenza che osserva e racconta, ma non si sovrappone. Liberamente va e viene, si confonde; è vicino e allo stesso tempo lontano e si mescola fra i personaggi, li ascolta, li provoca e li incoraggia. Ora scegliendo di mettersi da parte, ora intervenendo.
Un ulteriore ruolo strategico va riconosciuto alle canzoni dal vivo che riescono a riprendere l’attenzione dello spettatore e immergerlo ancora di più nella spensieratezza di un passato così vicino.

Alberto De Nicolò
Classe 5^CIA, I.T.S.T. J.F. Kennedy - Pordenone



Io je vojo bene a Riccetto

Da bambini ci si esprime meglio con i gesti piuttosto che con le parole, scoprendo sé stessi tramite l’interazione con altre persone, ambienti o anche animali. Il cuore cerca ciò che lo rende felice ed euforico, come salvare una rondine da morte sicura per poi vederla spiccare di nuovo il volo. La fierezza è inappagabile tanto quanto la bontà e l’innocenza della giovane età, che fanno in modo di enfatizzare qualsiasi sogno il bambino stia vivendo.
Purtroppo, tali valori possono non resistere in certe circostanze in cui molte persone sono obbligate a vivere: pur di sopravvivere e proteggersi, i giovani creano barriere o sistemi di protezione verso il mondo esterno che alterano le caratteristiche positive. Così finiscono spesso con il chiudersi in sé stessi, escludendo tutti, anche i propri cari. Come fa Riccetto.
A volte questi cambiamenti avvengono all’improvviso, in seguito ad un trauma ad esempio; altre volte sono graduali, determinati della persistenza nel tempo di disagi profondi. Certo, la vita non risparmia nessuno: chiunque prima o poi è stato messo al tappeto da piccole o grandi difficoltà, e tutti con il tempo diventiamo più duri di cuore e meno disponibili verso il prossimo. Non c’è molto da rammaricarsi o stupirsi: è frutto del sistema di sopravvivenza umano.
Ciò che non è normale è passare da un estremo all’altro. Si possono sminuire i valori imparati nell’infanzia a patto che non si trasformino nell’egoismo di Ricetto che, dopo aver lasciato morire annegato il suo amico nel fiume, dice appunto di voler bene solo a sé stesso.
Oggi come allora è un percorso difficile perché “i cittadini del villaggio globale” crescono anche più isolati dei borgatari di Pasolini; e non riescono a farsi carico delle proprie mancanze preferendo incolpare altri del proprio disagio, sbandierato sui social network per qualche “like”.
E’ assolutamente giusto amare sé stessi per poter amare gli altri e vivere in armonia, ma bisogna saper bilanciare questo amore prima che si trasformi in egoismo. Prima di diventare come Ricetto.

Amir Amrati
Classe 5^CIA, I.T.S.T. J.F. Kennedy - Pordenone



PERCORSO "TEATRO È SOCIETÀ

CON IL VOSTRO IRRIDENTE SILENZIO

Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro
ideazione, drammaturgia e interpretazione di Fabrizio Gifuni

Teatro Comunale Giuseppe Verdi Pordenone
16 maggio 2019



Gli ultimi 55 giorni

“Con il vostro irridente silenzio” è una rilettura analitica delle Lettere, e in particolare del Memoriale di Aldo Moro durante la sua prigionia. Fabrizio Gifuni, in collaborazione con Christian Raimo, è stato l’unico attore della messinscena, che si è svolta in modo differente rispetto agli spettacoli consueti, ovvero Gifuni ha ricoperto qui un ruolo di oratore-narratore più che di attore, leggendo e interpretando di fronte al pubblico, le Lettere di Aldo Moro in maniera accorata ma decisa e camaleontica, capace di cambiare tono e ritmo della voce a seconda della tipologia di argomento e dei destinatari, sempre accompagnato dal cambio d’atmosfera che producevano le luci.
Quello che colpisce di più sono le Lettere dei 55 giorni di prigionia dove Aldo Moro, stremato e ferito, capisce anche lui quale sarebbe stata la fine della sua storia, in questa situazione, e dispensa opinioni e giudizi su tutti, a cominciare dalla famiglia, fino alla politica; critica perfino la Democrazia Cristiana, il suo partito e chi la rappresenta.
Ma le Lettere più struggenti sono quelle rivolte a sua moglie, dalle quali emerge la dolce figura di “padre” e “nonno amorevole”; a lei fa capire che questa è la fine del suo percorso umano, a dispetto di quanto gli avevano detto le Brigate Rosse, che lo avrebbero trasferito altrove. Invece lo uccisero e lo abbandonarono dentro un’auto di fronte alla sede del suo partito.

Davide Pietrobon
Classe 5^ CMM, I.T.S.T. J.F. Kennedy - Pordenone



Lo spessore dell'uomo e del politico, negli ultimi scritti di Aldo Moro

Lo spettacolo “Con il vostro irridente silenzio” è nato, in occasione del 40° anniversario del ritrovamento del cadavere dell’illustre politico italiano, all’epoca presidente della Democrazia Cristiana, per il salone del Libro di Torino ed è stato riproposto quest’anno dal Teatro Verdi di Pordenone.
Nel corso della rappresentazione Gifuni ha letto le lettere inviate da Aldo Moro dalla sua prigionia, durata dal 16 marzo al 9 maggio1978, giorno in cui il suo corpo crivellato è stato ritrovato nel bagagliaio di un’automobile rossa. Le lettere erano destinate prevalentemente alla sua famiglia e ai colleghi della D.C. e comprendono anche il memoriale e il testamento.
Il palcoscenico era allestito con un tavolo, una sedia e un gran numero di fogli a terra. L’essenzialità dell’allestimento ha contribuito a rievocare l’ambiente in cui ha vissuto Moro negli ultimi 55 giorni della sua vita.
A nostro avviso, la rappresentazione ha difettato di contestualizzazione e commento, infatti sarebbe stato opportuno fornire ulteriori indicazioni per comprendere in modo più approfondito alcuni passaggi dei suoi scritti.
Nonostante ciò, l'interpretazione di Gifuni ci ha fatto immedesimare nelle emozioni e negli stati d’animo che hanno accompagnato il politico italiano durante il suo sequestro. Il ritmo della lettura, sempre più incalzante, esprimeva efficacemente la progressiva fretta di Aldo Moro di trovare un compromesso per essere liberato e l’evoluzione del suo pensiero. Si possono distinguere difatti tre fasi della sua prigionia: la prima, nella quale è fiducioso nei confronti di un intervento del suo partito; la seconda, in cui critica alcuni membri della D.C., Zaccagnini e Andreotti su tutti; la terza in cui cambia drasticamente il tono delle sue lettere, dissociandosi dal suo partito, attaccandolo aggressivamente e addossandogli varie colpe.
Il linguaggio utilizzato da Moro ed enfatizzato da Gifuni, ci ha positivamente colpiti poiché denota lo spessore della sua personalità, della sua cultura e della sua immagine. Non si può dire altrettanto dei politici attuali, uomini superficiali ed egoisti dai quali traspare minor serietà ed impegno.

Giovanni Bacchin, Francesco Fabbro, Denise De Paciani, Giacomo Nigris
Classe 4^ B S, Liceo Leopardi Majorana - Pordenone



Gifuni-Moro: un capolavoro di immedesimazione

Giovedì 16 maggio è andato in scena al Teatro Verdi lo spettacolo “Con il vostro irridente silenzio”, basato sulla lettura delle lettere scritte da Aldo Moro durante il periodo in cui fu prigioniero delle Brigate Rosse. Pensata e interpretata da Fabrizio Gifuni, vincitore tra gli altri di un “David di Donatello", la rappresentazione va a comporre una sorta di trilogia di opere drammatiche assieme con quelle realizzate sugli scritti di Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini.
Nello spettacolo si ripercorrono, attraverso le lettere, i 55 giorni di prigionia di uno dei più influenti personaggi dell’intera storia politica italiana. Esse sono rivolte alla famiglia (soprattutto alla moglie), ai principali esponenti politici dell’epoca (i fatti narrati risalgono al trimestre marzo-aprile-maggio 1978) oppure compongono il cosiddetto “memoriale”, una sorta di testamento redatto durante il “processo popolare” al quale Moro fu sottoposto dalle Brigate Rosse.
L'interpretazione si basa sulla sola lettura delle lettere: Gifuni non ha l'intento di interpretarle, darne una propria prospettiva, trovare o fornire spunti di discussione, vuole solo immedesimarsi nello stato d’animo che avrebbe potuto provare Moro durante il tempo della prigionia. La lettura, mai veramente interrotta, suscita negli spettatori grande ammirazione, grazie al talento di Gifuni che per un’ora e quarantacinque minuti abbandona la sua persona, incarnandosi completamente nel personaggio. Anche la scenografia e il gioco di luci aiutano a creare un clima coinvolgente: il palco, allestito semplicemente con una sedia, un tavolo su cui scrivere e tanti fogli sparsi a terra, viene illuminato ora con una luce più calda, che accompagna i momenti più tesi e passionali, ora con una più fredda, più vicina a quelli di sconforto e disillusione.
Nelle lettere sono presenti vari temi: possiamo scorgere il disprezzo verso alcuni membri della DC, oppure l’amore e l’affetto verso la propria famiglia. Il ritmo della lettura cresce con il passare dei minuti, come se lo stesso attore, impersonando la figura di Moro, sentisse il tempo assottigliarsi, le possibilità di essere liberato annullarsi, e avesse l’esigenza di esprimere tutto in pochi attimi. La riuscita dello spettacolo gira quindi intorno a due caratteristiche fondamentali: la capacità espressiva dell’attore e la decisione di evitare la rielaborazione personale, che hanno permesso un'analisi e un approfondimento oggettivi sulla figura di Moro come uomo e individuo, prima che come politico.

Carlo Mazzon, Alberto Cuciniello
Classe 4^ B S, Liceo Leopardi Majorana - Pordenone



Negli ultimi scritti Moro statista e pater familias

Si palesa sulla scena Fabrizio Gifuni che, con la sua calda voce, si appresta a immedesimarsi in Aldo Moro e ad esprimere in modo magistrale tutte le emozioni che il leader della Democrazia Cristiana può aver provato durante il suo periodo di cinquantacinque giorni da ostaggio delle Brigate Rosse. Egli, infatti, negli anni ’70, era la colonna portante del partito, il quale aveva inaugurato una nuova politica, il “Compromesso Storico” con il Partito Comunista; tale alleanza politica era mal vista dall’estrema sinistra e da molte altre forze politiche. Tutto ciò accadeva tra marzo e maggio 1978, e finì con il ritrovamento del suo corpo privo di vita nel bagagliaio di un’auto rossa.
Durante lo spettacolo sono stati letti ampi passaggi dalle lettere, dai memoriali e dal testamento dello statista, nei quali egli trattò di due temi in particolare: la questione politica, in cui abbiamo potuto assistere ad un tentativo, sempre più disperato, di coordinare le operazioni del governo per farlo uscire dalla situazione in cui versava, e questioni familiari, dove è stato offerto una splendida immagine del Moro “pater familias”, attento alla salute e alla tranquillità dei suoi cari, rassicurante riguardo alle proprie condizioni; emerge tutto l’affetto dell’uomo, ulteriormente acceso dalla drammaticità delle condizioni determinate dalla segregazione.
Il rapporto di Moro con la DC si evolve in tre fasi: una prima di fiducia e speranza in un intervento da parte del partito, una seconda di critica personale riguardo ad alcuni personaggi della DC in cui vengono ricordate faccende losche nell’esperienza del partito e, infine, la sua dissociazione dal partito, nel quale non si riconosce più.

Alessia Cicuta, Federico Magris, Mattia Pascon
Classe 4^ B S, Liceo Leopardi Majorana – Pordenone



LE LOCANDINE

Leonardo Guidi
Classe 5^CMM, ITST J.F. Kennedy – Pordenone

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Lorenzo Polzot
Classe 5^CMM, ITST J.F. Kennedy – Pordenone

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